Via dell’Acqua Bullicante, la vecchia via Militare e i forti difensivi di fine Ottocento a Roma

(di Alberto Carluccio – pagina FB Marranella Torpignattara Roma)

In origine era la via Militare (in rosso nella cartina in basso) e, da via Tiburtina, intersecava via Prenestina, via Casilina, via Tuscolana e via Appia.

(Mappa allegata a Michele Carcani, “I forti di Roma, notizie storico-topografiche raccolte da Michele Carcani”, Roma, 1883, tratto da Senato.it)

Poi, nel 1920, i vari tronconi, dopo la smilitarizzazione del 1906, assunsero le distinte denominazioni di via di Portonaccio, via dell’Acqua Bollicante (più tardi Acqua Bullicante, dall’omonima tenuta che seguiva quella di Portonaccio), via di Porta Furba, via dell’Arco di Travertino, via dell’Almone, via di Cecilia Metella. L’utilità era evidente, perché venivano messe in collegamento le strade che uscivano da Roma sul lato est della città. Nella mappa di Michele Carcani, del 1883, la strada è indicata come ferrovia militare, segno che il progetto iniziale, poi abbandonato, fosse quello di divenire una strada ferrata. L’idea era quella di creare un asse circolare di strade, simile, ma molto più interno, a quello che fu progettato dall’ANAS e dall’Ingegner Gra e che vide la luce molti decenni più tardi (Ostilio, v. infra).

La via Militare faceva parte di un complesso di strutture di difesa della città voluto principalmente da Luigi Mezzacapo, Ministro della Guerra del Regno d’Italia negli anni 1876-1878. La via, nel tratto tra Tiburtina e Casilina, percorreva la valle della Marranella, solcata dall’omonimo corso d’acqua, affluente dell’Aniene.

In quegli anni si pensava che Roma avesse necessità di una notevole struttura difensiva e così fu commissionata la costruzione di imponenti forti militari intorno alla città. Era il 1877 quando i primi sette forti (Monte Mario, Braschi, Boccea, Aurelia Antica, Bravetta, Portuense e Appia Antica), cominciarono ad essere realizzati. Ad eccezione del forte Appia Antica, questi primi edifici sorsero sulla destra del Tevere, per difendere la città da attacchi marittimi. La costruzione degli altri forti (Antenne, Ardeatina, Casilina, Ostiense, Pietralata, Prenestina, Tiburtina e Trionfale) iniziò a partire dal 1880.

(Foto di pubblico dominio, Arvaliastoria.it)

Furono erette anche quattro batterie, in posizione intermedia e arretrata rispetto ai forti: Tevere (sulla riva destra del fiume sotto Monte Mario), Appia Pignatelli, Porta Furba e Nomentana.

La batteria Porta Furba è assai vicina al troncone della via militare che giunge ad Arco di Travertino e si trova all’interno di un’area di pertinenza della Caserma Vittorio Galliano della Guardia di Finanza.

I forti, e la via Militare, furono presto inutili per lo scopo prefissato. Mentre i generali vagheggiavano di un imminente scontro con la Francia, immaginandolo anche in forma di romanzo (v. “L’assedio di Roma nella guerra del 190..” di Pompeo Moderni), gli equilibri politici internazionali mutavano e l’Italia, anni dopo, entrò in guerra nel primo conflitto mondiale a fianco del vecchio nemico. Le nuove tecniche balistiche e lo sviluppo edificatorio dei quartieri che rapidamente inglobarono la maggior parte dei forti, li resero totalmente obsoleti, ponendo questioni di riutilizzo mai pienamente risolte (uno dei forti, il Prenestino, è tutt’oggi sede di una storica occupazione; numerose sono le iniziative e gli studi di recupero). Forse, il segno più tangibile delle trasformazioni di quegli anni fu proprio il tracciato della via Militare che sopravvisse negli anni, fino ad oggi. Proprio per non essere stata concepita come strada “pubblica”, tuttavia, l’asse viario attuale sconta (ad eccezione di un breve tratto), e in maniera forse irreparabile, una certa insufficienza nella larghezza della carreggiata rispetto all’arteria più grande che sarebbe potuta essere.

Alberto Carluccio ©

Bibliografia essenziale

“Roma, mosaico urbano: Il Pigneto fuori Porta Maggiore”, Carmelo G. Severino, pag. 44.

Michele Carcani, “I forti di Roma, notizie storico-topografiche raccolte da Michele Carcani”, Roma, 1883

Fabio Zonetti, Sergio Werther Pechar, Michelangelo Miranda, Andrea Di Somma, Raffaele Nastro Lorenzo, Emanuela Marini, Antonio Scarrone, Valentina Ferrari, “Interpretazioni geografiche sulla localizzazione dei forti del campo trincerato di Roma”, 19a Conferenza Asita, in https://agatweb.it/pubblicazioni/

Sergio e Riccardo Masini, “L’assedio di Roma nel 190.”, 2015, http://www.academia.edu

“Operare i forti: Per un progetto di riconversione dei forti militari di Roma” di Andrea Bruschi, Simone Ferretti, Anna Giovannelli, Andrea Grimaldi, Paola Guarini, Piero Ostilio Rossi, Luigi Tamborrino

https://progettoforti.wixsite.com/progettoforti/batteria-porta-furba

https://progettoforti.wixsite.com/progettoforti/batteria-appia-pignatelli

http://romanatura.roma.it/i-parchi/r-n-valle-dei-casali/i-forti-trionfale-monte-mario-braschi-bravetta/

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Forte_Casilina

19 luglio 1943 – bombardamento di Roma  – Marranella, Pigneto e Torpignattara

Il 19 luglio 1943 Roma fu bombardata pesantemente dagli Alleati, gli ordigni caddero non solo nel quartiere San Lorenzo (che subì le maggiori perdite), ma anche nel Prenestino – Labicano. Ci furono moltissime vittime perchè, nonostante le sirene suonassero, si pensava a falsi allarmi: si diceva infatti che Roma non sarebbe stata bombardata perchè “c’era il papa”. Ed invece la tragedia si consumò, furono colpiti “obiettivi” civili, abitazioni e fabbriche; tra gli altri, il deposito Atac di via Prenestina e lo stabilimento dell’industria farmaceutica Serono sulla via Casilina. 

via Casilina stabilimenti Serono

Ci furono vittime a via dell’Acqua Bullicante, Via del Pigneto, Via Casilina e Via di Torpignattara (il Gruppo Storico dei Vigili del Fuoco enumera molti interventi effettuati a causa di crolli e incendi). Tutta l’area aveva una forte caratterizzazione (deposito delle linee tranviarie, ferrovie, impianti industriali), ma i bombardamenti sui civili non furono affatto risparmiati.

Via Casilina altezza Mandrione, dopo i bombardamenti

Alcune testimonianze raccontano poi di un rifugio antiaereo, costruito dentro ad una delle tante cave sotterranee della zona, che fu colpito proprio in via dell’Acqua Bullicante, senza che ne fossero state mai state recuperate tutte le vittime (per una testimonianza: http://www.di-roma.com/index.php/cultura/cinema/item/566-io-cero-al-liberte-di-monte-sacro-1943-il-bombardamento-di-san-lorenzo). Oggi quel sito si troverebbe al di sotto di un distributore di benzina (nel libro di Cesare De Simone, “Venti angeli sopra Roma”, Mursia, 1993 , si cita via dell’Acqua Bullicante, 84 come sede di un rifugio censito dai vigili del fuoco), nei pressi dell’ex cinema Impero.

Altre testimonianze riportano il bombardamento del collettore della Marranella, avvenuto con lo sgancio di ben quattro ordigni, con la conseguente fuoriuscita dei liquami.

Nella zona vi erano altri rifugi. Sono stati segnalati a Porta Maggiore e di fronte al deposito Atac di via Prenestina. 

Altri bombardamenti ci furono il 13 agosto dello stesso anno. Secondo quanto riportato su Wikipedia:”Questa volta gli obiettivi sono tutte le linee ferrate di collegamento con il basso Lazio, comprese nell’area dalla via Tiburtina alla via Appia. Viene colpita l’area di Villa Certosa, dove subiscono devastazioni numerose abitazioni in via dei Savorgnan, via Angelo Bertola, via Giulio Buratti e il convento delle Suore di Nostra Signora di Namur. Le bombe cadono anche in via dell’Acqua Bullicante, mentre via Casilina è falcidiata da numerosi mitragliamenti e spezzonamenti; i binari della ferrovia del tram urbano vengono gravemente danneggiati”. In questo secondo bombardamento fu attaccato il trenino per Fiuggi.

Alberto Carluccio 

Una raccolta fotografica si trova su RomaToday.

Altre informazioni e bibliografia minima

Stefano Vannozzi, Tracce della guerra nel 70 anniversario del primo bombardamento degli alleati su roma

I bunker di Roma di Lorenzo Grassi

Der pigneto semo noi

S. Ficacci, Tor Pignattara: fascismo e Resistenza di un quartiere romano, Franco Angeli, 2007

Cesare De Simone, Venti angeli sopra Roma, Mursia, 1993

Ferrovie e archeologia della Via Labicana tra Porta Maggiore, Tor Pignattara e Centocelle

L’antica Via Labicana correva dall’Arco di Gallieno (nei pressi di piazza Vittorio e dove in età imperiale si collocava la Suburra) sino all’attuale Porta Maggiore per poi proseguire per un lungo tratto in approssimativa coincidenza con le moderne via Casilina vecchia e via Casilina. Essa terminava a Labico.

(nella rappresentazione di G.B.Piranesi, in primo piano compare l’Arco di Gallieno, e, in fondo, contrassegnata dalla lettera D, Porta Maggiore)

La sua scoperta e riscoperta è segnata, dalla fine dell’Ottocento ad oggi, dalla convivenza con la ferrovia Roma -Fiuggi, aperta nel 1916 e negli anni sempre più ridotta a ferrovia metropolitana (oggi è limitata a Centocelle), e con altre strade ferrate.

Fu proprio negli anni 1889-1891, durante i lavori per la costruzione della stazione Tuscolana, che furono ritrovati i resti di un’area sepolcrale a sud della via Labicana.

Negli stessi anni è riportata una scoperta di un tratto dell’attuale via proprio alla Marranella durante i lavori per la costruzione di un’abitazione. Secondo le fonti il ritrovamento si collocava più a Nord dell’attuale via Casilina, in corrispondenza lineare con il Mausoleo di S. Elena.

Nel 1913 un tratto di 70 m fu scoperto al km 2 della via Casilina durante i lavori per una fognatura.

Nel 1916, quando fu realizzata la ferrovia Roma – Fiuggi, altri importanti rinvenimenti furono portati alla luce lungo la via Casilina.

Gli “avvistamenti” sono proseguiti negli anni e la sensazione è che ciò che è stato scoperto, catalogato, è stato poi reinterrato per poi essere riscoperto anni dopo in occasione di nuovi lavori. Lavori, sì, perchè in assenza di una politica organica sugli scavi archeologici, le maggiori scoperte avvengono in occasione di lavori ferroviari, a reti idriche, elettriche e telefoniche.

Durante la costruzione della metro C un altro tratto della strada fu riscoperto in Via Casilina vecchia. Purtroppo è stato successivamente interrato per dare spazio al completamento delle fermate Pigneto e Lodi. Al suo posto compaiono solo i pozzi di aerazione della metropolitana.

Il tracciato è stato completamente interrato

Nel 2011 è stata scoperta una necropoli nei pressi del secondo miglio della via, in corrispondenza di Villa Certosa.

Arriviamo al 2017, quando ad aprile è stata anunciata la “scoperta” di un nuovo tratto della via Labicana durante alcuni lavori sulla ferrovia ex Roma – Fiuggi, ora Termini – Giardinetti (nel frattempo, come si diceva, limitata a Centocelle, ma di cui in molti chiedono la riapertura). Tuttavia già nel 1968, come testimonia una foto dell’archivio della Soprintendenza Capitolina, era stata scoperta una traccia della via proprio nella stessa aerea sulla Casilina in corrispondenza di via Altamura.

Una traccia della via Labicana in mezzo a Via Casilina/Via Altamura, nei pressi della stazione di Centocelle

La gran parte di queste scoperte rimangono sconosciute al pubblico più ampio e rimangono così confinate entro una ristretta cerchia di esperti, per arricchire pubblicazioni specialistiche, ma senza offrire fruibilità e occasioni di riqualificazione per le zone esterne al centro storico di Roma.

Bibliografia minima

Centocelle I, a cura di Patrizia Gioia e Rita Volpe 

http://www.archeologia.beniculturali.it/index.php?it/142/scavi/scaviarcheologici_4e048966cfa3a/138

http://www.romanoimpero.com/2010/12/arco-di-gallieno.html?m=1

http://www.ilmessaggero.it/AMP/4_settembre_2001_scoperta_antica_via_labicana-1221249.html

http://www.metroxroma.it/2014/07/metro-archeologica-o-metro-per-archeologi-la-curiosa-sorte-dellantica

http://roma.repubblica.it/cronaca/2017/04/06/news/roma_i_cantieri_dell_atac_riportano_alla_luce_l_antica_via_labicana_a_centocelle-162326815/

Via Pietro Martire D’Anghiera

E’ una piccola trasversale di via della Marranella che la congiunge a via Giovanni Battista Riccioli. Una strada interna, “minore”.

Pietro Martire d’Anghiera fu uno storico (2.2.1457, Arona – 1526, Granada).

Fu autore del De Orbe Novo, dove descrisse il nuovo mondo, le americhe.

In merito ad Antilia, la leggendaria isola dei beati “mappata” da Grazioso di Benincasa, Pietro Martire d’Anghiera la identifica direttamente con una delle prime scoperte delle indie occidentali, idividuabile con Porto Rico o Trinidad, ma il dato è controverso.

Temistocle Celotti descrive lo storico con queste parole:

PIETRO MARTIRE D’ANGHIERA abbraccia, nelle sue Decadi, circa 34 anni di storia delle scoperte geografiche e delle conquiste, dal primo viaggio colombiano al primo impallidire della stella del Cortés; scoperte e conquiste di cui fu il banditore, nelle lettere spedite ai più illustri personaggi di Spagna e d’Italia. Crebbe alla scuola di Pomponio Leto; e sveglio d’ingegno qual’era, e rapidissimo nell’assimilare, ben presto potè vantare una cultura umanista quasi perfetta, e non soltanto formale. Nessuno fu, meglio di lui, imbevuto di spirito classico, se classicità voleva dire, nel nostro Rinascimento, sincera ammirazione per un passato bello e glorioso, e ad un tempo brama ardente di conoscere a fondo la terra, su cui il Medio Evo, misticamente assorto nella contemplazione dei cieli, aveva appena posato il piede; conoscerla con slancio possente di tutta l’anima, senza veti dogmatici o impaccio di formule tradizionali, cui Pietro Martire fu sempre ribelle, malgrado l’abito sacerdotale“.

Via Grazioso Benincasa

La via, nella zona della Marranella, è poco conosciuta e un pò nascosta. E’una stretta traversa a senso unico di via dell’Acqua Bullicante e conduce a piazza Bartolomeo Perestrello. E’ una delle vie di confine tra la Marranella e il quartiere di Via Roberto Malatesta. La prima caratterizzata ancora in prevalenza da edifici della prima metà del ‘900, l’altro dai palazzoni della fine degli anni ’60 – anni ’70. Anche Grazioso Benincasa fu un cartografo (tutta le strade della zona sono intitolate a geografi e cartografi). Visse nel XV secolo. A quel tempo il cartografo univa alla speculazione scientifica lo spirito del sognatore erudito. Benincasa rappresentò nelle sue mappe mondi molto lontani e addirittura mitici. In una mappa rappresenta infatti Antilia, isola mitica, isola che non c’è, posta oltre le Azzorre. Su di essa sono stati intessuti miti e leggende (https://it.m.wikipedia.org/wiki/Antilia)  venendo associata con l’Isola Delle Sette Città o con l’Isola di San Brendano.

Di essa ne parlò anche il contemporaneo Pietro Martire d’Angheria, che aveva la sua tesi. La sua strada si trova a pochi metri da Via Benincasa. Ne parleremo nella terza puntata di questo giro tra le vie dei geografi.

Via Attilio Zuccagni Orlandini

“Roma è la città dei portenti; meno vasta di poche altre nel ricinto, e meno popolosa di alcune capitali moderne, può nondimeno riguardarsi a buon diritto, e per moltiplici titoli, come la prima del mondo conosciuto. Nel suo nome stesso è un prestigio; gli stranieri, i più orgogliosi e i più avversi al decoro italiano, sono forzati a venerarlo. Alla vista poi della città eterna, niuno di loro potè giammai sottrarsi agli effetti di forte emozione”.
Con queste parole Attilio Zuccagni Orlandini, cartografo e geografo (Fiesole, 1784 – Firenze, 1872) apre nel 1870 l’opera “Roma e l’agro romano – illustrazioni storiche-economiche”. Molto tempo è trascorso, Roma era stata appena proclamata capitale del Regno d’Italia, sull’onda dell’entusiasmo risorgimentale, mentre ora per molti aspetti sembra sprofondare in anni più bui. Questa dichiarazione d’amore di un grande intellettuale dell’epoca però può dare il giusto impulso a rivalutare questa città.

La via dedicata al geografo si trova tra la Marranella ed il Pigneto a pochi metri da piazza dei Geografi, dove sorge la chiesa di S. Barnaba: è una stradina stretta che corre in diagonale rispetto ai principali assi viari aperto negli anni ’50/’60 del ‘900, e precisamente da piazza Eratostene, in prossimità di via del Pigneto, fino a via Antonio Tempesta, nei pressi di Via Augusto Dulceri. Nello sbocco in Via Tempesta non è transitabile alle auto, ma solo ai pedoni che devono percorrere una breve discesa.

carta della Provincia di Terra di Lavoro tratta da Corografia fisica, storica e statistica d’Italia e delle sue isole di Attilio Zuccagni Orlandini.


Fonti

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Attilio_Zuccagni-Orlandini

Marrane ed altri fossi di Roma

Fino ai primi del novecento Roma era solcata da torrenti e fossi che assicuravano il drenaggio dell’acqua piovana. È sorprendente confrontare una mappa di quegli anni con una attuale. I fossi sono stati spesso interrati e si è persa la funzione che svolgevano un tempo, senza che siano state sempre individuate soluzioni alternative. Certo molte zone, come Tor Pignattara, ma anche Prati (all’epoca delimitata tra il fosso della Balduina ed il fosso della Valle dell’Inferno) sono stati risanati. Ma dietro i frequenti allagamenti dopo grossi temporali a Roma non c’è solo la mancata manutenzione di caditoie, c’è la disattenzione verso il territorio.

Bibliografia 

I rischi geologici nell’area urbana di Roma, di Gasparini, Leone, Brancaleoni, Garbin, Geologia dell’ambiente suppl. 4/2005

Maranus Ager

Un terreno nei pressi di Grottaferrata, denominato Maranus ager, solcato da un torrente che giunge sino a Roma per gettarsi nell’Aniene, avrebbe dato il suo nome a tutte le marrane di Roma e alla più famosa, quella che non ha bisogno di aggettivi, perché è la Marranella, a Tor Pignattara. E così la gran parte dei fossi che attraversano Roma si chiamano proprio marrane. Nome che rievoca un luogo sordido, oscuro che è bene nascondere. La marrana e le marrane però scorrono ancora. Cercarne gli indizi, fisici, nel quartiere è compito arduo, quasi impossibile. Serve una guida, che conservi oltre ai solchi del tempo nel suo viso, la memoria di narrazioni che ormai sembrano miti (la Tor Pignattara degli anni ’40). Ci facevano i bagni i poveri abitanti del quartiere, ai primi del Novecento. Sì, mentre nobili e neoindustriali, andavano a villeggiare – nuovo lusso esotico – in riva al mare, qui i poveri si bagnavano nella marana. E così la marana diventa solo luogo sociologico. Occorre invece recuperare la fisicità di questo luogo, che sfugge, per sua natura, essendo fluido e che non dovrebbe essere di proprietà di nessuno (i giuristi romani dicevano che una cosa che sfugge non la si può possedere). Alla sua naturale sfuggevolezza si aggiunge quel lato torbido ed inesplorato, tipico del mondo sotterraneo.